L’Italia sta innegabilmente affrontando uno dei periodi più complicati della sua storia, alle prese con una inesorabile epidemia di coronavirus che non accenna a fermarsi. Le perdite sono ingenti, in primis a livello umano. Si contano 2.978 deceduti e circa 35.000 contagiati, di cui la metà residenti nella sola Lombardia.
Una situazione terribile, soprattutto se si pensa che fino a nemmeno un mese fa assistevamo a ciò che accadeva in Cina leggendo il classico quotidiano in metro o ascoltando il telegiornale, con un pizzico di disinteresse e forti del fatto che “ciò che succede là non ci riguarda”.
Mai nessuno avrebbe pensato che la vicenda cinese si sarebbe ripetuta anche in Italia (e a breve anche in Europa e nel resto del mondo), con la dichiarazione da parte dell’OMS dello stato di pandemia generale.
Come anticipato precedentemente, è il cuore pulsante dell’Italia ad aver subito i danni maggiori, anche a livello finanziario.
Infatti, Lombardia e Veneto contribuiscono insieme a fornire il 40% del PIL, quindi si può immaginare quali possano essere le conseguenze sull’economia nazionale del blocco imposto dalle autorità competenti.
Tuttavia, il Decreto “Cura Italia” promulgato in data 17 marzo, con ben 25 miliardi sul piatto da destinare al sostegno di lavoratori, commercianti, professionisti e famiglie, sceglie di mantenere aperto mezzo milione di esercizi commerciali e servizi alla persona, che insieme creano occupazione per circa 800mila persone.
Secondo i dati Unioncamere e InfoCamere, la metà di questi pubblici esercizi è impiegata nel settore alimentare: per la precisione si parla di Ipermercati (ben 212 in Lombardia), piccoli punti vendita al dettaglio (la Campania è la regione che ne ha di più: 33mila), Supermercati e negozi di vicinato.
In ogni caso la FIPE, Federazione Italiana Pubblici Esercizi, ha stimato una perdita di circa 8 miliardi di euro in tutta Italia nel settore ristorazione, dove con “ristorazione” si intende quell’insieme di attività che ruotano intorno al consumo di cibi e bevande fuori casa, come ristoranti, bar, caffetterie, mense. Un settore che, da solo, vale 43 miliardi di euro e per cui si avrà una flessione del 9%.
È fuori discussione quindi che, a fine 2020, non sarà facile né piacevole tirare le somme dell’andamento di quest’annata disastrosa, da cui si dovrà ripartire più forti e uniti di prima.