Articolo dello "Studio Legale de Capoa e Associati".
"L’impatto della diffusione del “Coronavirus” nei rapporti commerciali internazionali, e la conseguente crescita esponenziale del rischio dell’inadempimento delle obbligazioni contrattuali: “focus” sugli istituti giuridici che disciplinano i casi di esonero da responsabilità nei Paesi extra-UE più rilevanti nei rapporti con l’Italia e le cautele contrattuali da adottare”, con particolare attenzione ai contratti di franchising.
PREMESSA
La recente diffusione del Coronavirus ha avuto ed avrà, per un prolungato lasso di tempo, un fortissimo impatto sull’economia, sugli scambi e sui rapporti contrattuali internazionali, interessando, in particolar modo, il funzionamento sia della c.d. supply chain che della catena distributiva.
La casistica degli effetti sui rapporti contrattuali, con particolare riferimento all’inadempimento, è eterogenea, ma tuttavia, il tratto comune è rappresentato dai ritardi ed addirittura dalla impossibilità di adempiere le proprie prestazioni (siano esse forniture di merci o prestazione di servizi) con un effetto a cascata che travolge i vari operatori economici, rendendo estremamente difficile l'inquadramento delle varie responsabilità.
Nel diritto del commercio internazionale, la clausola di forza maggiore viene spesso invocata dai diversi operatori commerciali che si trovino ad essere inadempienti alle obbligazioni contrattuali, di volta in volta, assunte. Il rischio in cui può incorrere non solo l’operatore economico ma anche il giurista non specializzato nel diritto del commercio internazionale, è quello di ritenere che nelle transazioni internazionali sia applicabile e quindi invocabile sempre e comunque la forza maggiore, come disciplinata nell’Ordinamento italiano e come comunemente viene ritenuta.
In questo senso, si rende utile indagare su quali siano le diverse accezioni caratterizzanti l’istituto della causa di forza maggiore e figure similari, con riferimento ad una serie tra i Paesi extra-UE maggiormente significativi nei vicendevoli scambi commerciali, con particolare attenzione ai contratti c.d. “di durata”, quali sono, per eccellenza, i contratti di affiliazione commerciale con partners stranieri (siano essi la Casa Madre od i franchisee), la cui durata media - per definizione - non è quasi mai inferiore a 4-5 anni.
C’è poi un aspetto delicato da sottolineare; mentre nel predisporre i documenti contrattuali, si dedica una grande attenzione a tutti i vari aspetti che caratterizzano le prestazioni, sin troppo spesso la clausola che disciplina la forza maggiore è standard, che viene applicata uniformemente a tutti i contratti stipulati dall’Azienda italiana, senza tenersi in alcun conto del clima giuridico nel quale si trova il partner straniero, sull’erroneo presupposto che “tanto, i casi di forza maggiore sono uguali in tutto il mondo”. Niente di più sbagliato; a mero titolo di esempio, in Egitto, la giurisprudenza maggioritaria esclude espressamente la guerra dal novero dei casi di forza maggiore !!!!!!
Ne consegue che l’azienda che si accinge a stipulare o rivedere contratti internazionali di franchising, deve necessariamente dare disposizione agli estensori del contratto di verificare assai scrupolosamente come è disciplinata la forza maggiore nei Paesi di interesse, e soprattutto come viene gestita da un punto di vista pratico, atteso che, laddove la normativa sia considerata dal Paese, di ordine pubblico e quindi sempre e comunque valevole, ancorchè il contratto sia regolamentato dalla legge italiana, dopo diventerebbe inutilizzabile una eventuale decisione dell’Autorità Giudiziaria italiana o di un organismo arbitrale.
Ma su questo punto si tornerà più avanti.
I
Nel diritto del commercio internazionale, la “forza maggiore” viene spesso invocata dai diversi operatori economici che si trovino, di volta in volta, ad essere inadempienti alle obbligazioni contrattuali assunte.
In questo senso, la problematica principale è dunque rappresentata dalla difficoltà di stabilire se l’emergenza sanitaria attualmente in corso possa essere - nei vari ordinamenti stranieri - legittimamente invocata come causa di forza maggiore o di “hardship” o, comunque, possa rientrare tra quei casi di insormontabilità, imprevedibilità ed incontrollabilità tali da esonerare la parte che la invoca dall’obbligo di adempiere e/o di pagare un eventuale risarcimento.
La problematica di cui sopra, inoltre, appare particolarmente acuita dal fatto che la maggioranza delle transazioni commerciali internazionali venga quotidianamente conclusa in assenza di una regolamentazione contrattuale scritta, e che, anche ove esista, sin troppo spesso la stessa si limiti a disciplinarne unicamente gli aspetti economici e gli aspetti operativi, senza previsione alcuna circa la legge applicabile al rapporto. Trattando del contratto di franchising, fortunatamente, questo problema non si pone, posto che la totalità dei rapporti è disciplinata da minuziosi contratti scritti, che prevedono la legge applicabile e quasi sempre la disciplina dell’istituto della forza maggiore.
A questo riguardo, però sorge un problema al contempo interpretativo ed applicativo.
Infatti, assumendo, per esempio, di trovarsi un contratto di Master Franchising stipulato da un’Azienda italiana (la Casa Madre o Franchisor) con un’azienda cinese, disciplinato dalla legge italiana, potrebbe essere che la ditta cinese < al fine di giustificare il proprio inadempimento > produca un certificato attestante la forza maggiore rilasciato da una autorità pubblica cinese. Vale come esimente? Secondo la giurisprudenza italiana, questo certificato ha valore? Ed anche nell’ipotesi in cui, essendo prevista la competenza giurisdizionale dell’Autorità Giudiziaria italiana, il Giudice italiano non dovesse accogliere le tesi difensive del Master Franchisee cinese, e quindi condannarla all’adempimento e/o al risarcimento, al momento poi di chiedere il riconoscimento della sentenza italiana nella Repubblica Popolare cinese in forza della Convenzione esistente in materia di cooperazione giudiziaria, l’Azienda italiana potrebbe trovarsi di fronte l’insormontabile ostacolo rappresentato dal fatto che la sentenza italiana potrebbe essere ritenuta - dall’Autorità Giudiziaria Cinese - contraria all’ordine pubblico interno, e pertanto non essere riconosciuta.
Alla luce di quanto sopra brevemente esposto, appare chiaro che lo scenario giuridico nel quale si inserisce la diffusione della epidemia di Coronavirus risulta, pertanto, estremamente disomogeneo. La clausola di forza maggiore od equivalente è finalizzata a permettere che, al verificarsi di determinate circostanze qualificabili come eccezionali, la parte che ne subisce gli effetti possa, a seconda dei casi, sospendere l’esecuzione del contratto o, addirittura, nei casi più gravi, risolverlo, senza che ciò possa ingenerare in capo alla medesima parte alcuna responsabilità.
In linea generale, si può dire che l’istituto della Forza Maggiore od altro istituto analogo, è riconosciuto nella quasi totalità dei Paesi, anche se esistono sfumature o sinanco sensibili differenze tra le diverse nozioni, dovute al contesto storico e culturale di ogni Paese.
Per ciò che attiene all’Ordinamento Italiano, lo stesso non prevede una definizione positiva di forza maggiore, ma tuttavia, riconosce all'articolo 1256, 1° comma, c.c., la possibilità che un'obbligazione si estingua quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile. È rimessa pertanto alla giurisprudenza la determinazione delle criticità e dei limiti dell’istituto in parola.
Altrettanto accade nei Paesi i cui ordinamenti sono improntati alla c.d. “common law“, dove generalmente non esiste una definizione normativa del concetto di forza maggiore (sebbene esistano variazioni dello stesso concetto, come ad esempio, nella dottrina inglese in cui si parla di “frustration” o il concetto statunitense di “impracticability”, le quali permettono al contraente di estinguere/sospendere la propria obbligazione, allorquando la prestazione diventi impossibile per causa allo stesso non imputabile). Ne consegue che, nei sistemi di common law, le parti che scelgono di chiamare in causa la forza maggiore quale esimente da responsabilità contrattuale, specificando dettagliatamente le singole ipotesi di forza maggiore, hanno poca scelta se non quella di definire il concetto stesso all’interno dei contratti.
In questo senso, la formulazione della clausola di forza maggiore nell’ambito di un rapporto contrattuale, se riveste sempre e comunque notevole importanza, lo diventa vieppiù nei casi in cui una od entrambe le parti del rapporto risiedono in un Paese caratterizzato da un tale sistema giuridico, proprio per via del fatto che, in assenza di una regolamentazione normativa dell’istituto, sarà più complesso definire responsabilità e conseguenze se non preventivamente determinate pattiziamente.
L’accezione di “forza maggiore” appare non univocamente inquadrabile (secondo i canoni caratterizzanti i sistemi di civil law) anche nei Paesi di diritto Islamico. Infatti “la forza maggiore” - conosciuta nella lingua araba come quwwat al-qanun - non viene intesa come semplice e mero evento esterno, imprevedibile, non imputabile al debitore e comunque fuori dal suo controllo, ma come causa di giustificazione dovuta al verificarsi di un evento imprevedibile, ma inteso sempre e comunque come “atto di Dio”. Conformemente al metodo “casistico” tipico della disciplina dei contratti islamici, tuttavia, l’evento esterno, ovvero l’“atto di Dio”, viene identificato tanto in un “fatto celeste” quanto in un “fatto dell’uomo al quale sia impossibile resistere”. Sono pertanto potenzialmente identificabili come cause di forza maggiore, ad esempio, tanto la pioggia che distrugge un raccolto e rende impossibile la sua consegna, quanto un ordine imperativo dell’Autorità.
Si rende necessario sottolineare, tuttavia, come le attuali Legislazioni di numerosi Paesi Islamici (ovvero di quei Paesi del mondo islamico che hanno permesso forme di codificazione e laicizzazione) abbiano provveduto, nel corso del tempo, ad una graduale occidentalizzazione del concetto di “forza maggiore”, sforzandosi di delinearne maggiormente i confini (per quanto il substrato giuridico rimanga sempre la Shari’ah) e tendendo a darne un’accezione maggiormente restrittiva.
Ad esempio, in Iran l’istituto della force majeure deve considerarsi pienamente esistente nell’ordinamento. L’avvenimento che ne sta alla base deve essere caratterizzato da tre profili ben definiti: l’inevitabilità; l’imprevedibilità e l’estraneità al controllo delle parti. Trattasi di una interpretazione del tutto in linea con quella prevalente nella maggior parte dei sistemi giuridici internazionali, ma difforme da quella degli altri ordinamenti basati sulla Shari’ah. L’epidemia del COVID-19, sembra rientrare inesorabilmente nella qualificazione di un evento inevitabile, imprevedibile ed incontrollabile. Preme sottolineare che, pur non facendo la normativa iraniana alcun espresso riferimento alle pandemie o epidemie come eventi di force majeure, il richiamo della Legge sul Lavoro ad eventi “simili a terremoti-alluvioni-guerre”, lascia intendere che i contagi su larga scala possano essere riconosciuti come avvenimenti patologici in un rapporto contrattuale.
Per ciò che attiene, invece, gli altri Paesi Extra-Ue più rilevanti nei rapporti commerciali con l’Italia, va evidenziato come anche l’Ordinamento giudico della Federazione Russa delinei una definizione generica del concetto di “forza maggiore”, per cui si intende il verificarsi di circostanze eccezionali imprevedibili ed inevitabili, tali da esimere da responsabilità la parte che non adempie all’obbligo contrattualmente assunto, salvo che sia diversamente stabilito dalla legge o dall’accordo delle parti.
Nell’ottica definitoria si colloca anche la Suprema Corte Russa, alla quale occorre riconoscere un ruolo primario per avere contribuito, attraverso copiosa giurisprudenza sul punto, a stilare un elenco di circostanze eccezionali in presenza delle quali possa essere richiamata l’esimente della “forza maggiore”, la quale richiede una sussistenza concomitante di requisiti dell’eccezionalità e dell’imprevedibilità riferiti al caso specifico.
È bene precisare che nell’Ordinamento giuridico russo le indicazioni in ordine all’individuazione degli eventi qualificabili come “forza maggiore” da parte della Camera di Commercio e dell’Industria russa godono di un particolare valore giuridico. In relazione a rapporti contrattuali sorti sul territorio russo tale Organo ha il potere di chiarire quali siano quelle circostanze eccezionali da considerarsi come eventi di “forza maggiore”.
Dalla breve disamina della normativa e dei provvedimenti russi in relazione all’istituto di “forza maggiore” emerge con tutta evidenza che vi si possono annoverare anche gli eventi epidemiologici.
In maniera del tutto analoga, l'articolo 153 dei "Principi generali del diritto civile della Repubblica Popolare Cinese" e l'articolo 117 del " Diritto contrattuale della Repubblica Popolare Cinese" chiamano in causa la forza maggiore in caso di eventi imprevedibili, inevitabili, o nei casi in cui si verifichino cause ostative all'adempimento oggettivamente insuperabili.
Le normative cinesi sopra citate escludono la responsabilità della parte inadempiente se determinata da una causa di forza maggiore, come previsto, ad esempio, dall’articolo 107 dei " Principi generali della legge civile della Repubblica Popolare Cinese". Una ulteriore previsione di legge, in particolare vedasi l’articolo 94 della "Legge contrattuale della Repubblica Popolare Cinese" sancisce che le parti possano risolvere il contratto se una causa di forza maggiore ne ha reso l'oggetto impossibile.
Con riferimento all'epidemia (e, forse tra non molto, pandemia) da Coronavirus, laddove le parti abbiano indicato l'evento epidemia tra le cause di forza maggiore, nessun dubbio vi dovrebbe essere circa l'assenza di responsabilità della parte inadempiente per motivi legati all'epidemia stessa. Anche laddove siffatto evento non fosse stato però espressamente menzionato come causa di forza maggiore, è probabile che i Tribunali cinesi lo considerino tale. Una siffatta affermazione deriva dai precedenti, nello stesso senso, già verificatisi in passato. Infatti, già nel 2003, con l’epidemia della SARS, ad esempio, ha permesso ai Tribunali ed agli organi arbitrali cinesi di ritenere questo tipo di epidemia come causa di forza maggiore.
Tuttavia, in alcuni casi, ovvero allorquando le misure contenitive adottate dal Governo non avevano impedito completamente l'esecuzione della prestazione, alcuni Tribunali non ritennero di escludere la responsabilità della parte, se non solo parzialmente. Attualmente l'Ufficio Generale del Ministero del Commercio cinese ha deciso di fornire alle aziende cinesi certificati di forza maggiore, rilasciati al fine di proteggere le aziende nel caso di mancato rispetto del termine di consegna delle merci dovuto all'epidemia.
Tornando al diritto musulmano, posto che la sua ampiezza e la sua ricchezza richiederebbero ben altro spazio che le poche righe del presente lavoro, qui ci si limita a richiamare alcuni concetti basilari, che consentono poi di meglio comprendere il perimetro dell’istituto giuridico della forza maggiore nel diritto islamico. Principio cardine è che la legge altro non è se non la volontà di Dio, ossia la norma data da Dio al Popolo da lui prescelto, e secondo la quale un giorno lo giudicherà. La legge è quindi la parola diretta di Dio, e si riferisce agli atti di coloro che sono tenuti ad osservarne i precetti. L'obbedienza alla legge è quindi, allo stesso tempo, un dovere sociale ed un precetto di fede; chi la viola, infrange non solo una norma giuridica, ma commette anche un peccato, dal punto di vista religioso. Diritto e religione, legge e morale sono i due aspetti di questa stessa volontà, per cui è stata fondata e si regge la comunità musulmana.
Ne deriva che lo spirito etico-giuridico che domina la disciplina dei contratti nel diritto musulmano, e questo aspetto etico del diritto e quindi dei contratti, costituiscono gli strumenti in base ai quali i giuristi islamici richiamano l'attenzione alla tutela dell'equità e della reciprocità delle varie prestazioni, con il chiaro obiettivo di evitare ingiustificati od indebiti arricchimenti.
Ecco quindi che nel diritto musulmano l'obbligo in capo alle parti di una negoziazione o di un contratto, di comportarsi secondo buona fede - e quindi in maniera corretta e con la massima lealtà - sia durante le trattative che durante la fase di formazione e di esecuzione di un contratto, riveste un'importanza cruciale, così come è fondante la regola in base alla quale i patti devono essere rispettati. Peraltro, va rilevato che il principio di comportarsi secondo buona fede deve essere applicato in ogni fase del rapporto tra le varie parti, atteso che la comunità dei Fedeli costituisce una grande Famiglia (la Umma), da cui ne consegue che tra Fratelli (perché tali sono i Fedeli) e tra Parenti le regole della buona fede e della correttezza sono naturali ed intrinseche nei rapporti personali.
La regolamentazione del vivere sociale è pertanto finalizzata a portare ordine nella vita civile, elemento altrettanto importante del culto per il raggiungimento del benessere della società umana, con la conseguenza che, in linea di principio, non esiste una netta separazione fra l’ordine spirituale e quello temporale .
Proprio per via di questa caratteristica, le previsioni coraniche in materia di contratti sono generali, e finalizzate a rimarcare l’obbligo di tenere nelle relazioni di qualsiasi genere, condotte etiche, definite alla luce dalle consuetudini commerciali dall’interprete.
Sulla base degli appena menzionati presupposti, appare di facile intuizione come l’accezione di “forza maggiore” sia difficilmente inquadrabile secondo i canoni caratterizzanti i sistemi di civil law e come possa risultare nettamente più ampia. In questo senso, “la forza maggiore” - conosciuta nella lingua araba come quwwat al-qanun - non viene intesa come semplice e mero evento esterno, imprevedibile, non imputabile al debitore e comunque fuori dal suo controllo, ma come causa di giustificazione dovuta al verificarsi di un evento imprevedibile, ma inteso sempre e comunque come “atto di Dio”.
Conformemente al metodo “casistico” tipico della disciplina dei contratti islamici , tuttavia, l’evento esterno, ovvero l’“atto di Dio”, viene identificato tanto in un “fatto celeste” quanto in un “fatto dell’uomo al quale sia impossibile resistere”. Sono pertanto potenzialmente identificabili come cause di forza maggiore tanto la pioggia che distrugge un raccolto e rende impossibile la sua consegna, quanto, ad esempio, un ordine imperativo dell’Autorità .
Occorre inoltre rilevare che la Shari’ah estende il campo di applicazione della “forza maggiore” non solo all’ipotesi in cui per il debitore sia diventato impossibile adempiere alla propria prestazione, ma anche alla situazione in cui per il debitore sia divenuto - a causa di un mutamento delle circostanze riferibili alle obbligazioni ed ai diritti fondamentali del contratto - impossibile adempiervi esattamente od in parte.
Secondo il diritto musulmano infatti, un contratto dovrebbe cessare di essere vincolante per le parti qualora si sia verificato un mutamento (imprevedibile) delle circostanze riferibili alle obbligazioni ed ai diritti fondamentali del contratto, tale da rendere lo stesso eccessivamente oneroso per la parte obbligata , dovendo un contratto essere sempre giusto, equo e ragionevole.
Vale la pena sottolineare che per eccessiva onerosità si deve intendere - anche alla luce delle interpretazioni date dalla giurisprudenza, in particolare quella delle Corti egiziane e libanesi (che sono da considerarsi guida nel mondo del diritto commerciale) - quell'aumento dell'onere in capo ad una parte, che non poteva prevedere o che non poteva immaginare o stimare.
Il fondamento dell’istituto della forza maggiore, pertanto, risiede sempre nel principio dell’equo bilanciamento dei diritti e degli obblighi delle parti contraenti e la sua applicazione rappresenta un evidente esempio del richiamo a quei principi di equità, giustizia e sacralità che devono sempre caratterizzare un contratto di diritto musulmano.
Ciò posto, si rende necessario sottolineare come le attuali Legislazioni dei Paesi Islamici (ovvero di quei Paesi del mondo islamico che hanno permesso forme di codificazione e laicizzazione) abbiano provveduto, nel corso del tempo, ad una graduale occidentalizzazione del concetto di “forza maggiore”, sforzandosi di delinearne maggiormente i confini (per quanto il substrato giuridico rimanga sempre la Shari’ah) e tendendo a darne un’accezione maggiormente restrittiva.
In linea generale, l’istituto della forza maggiore viene ricondotto dalle principali Legislazioni di cui sopra alla verificazione di un evento che deve necessariamente presentare queste caratteristiche:
- i) imprevedibilità, intendendosi come tale “l’assenza di alcun segno o circostanza particolare che induca la parte contraente a ritenere probabile il verificarsi di un determinato evento ”;
- ii) inevitabilità, la quale presuppone da un lato l’avere adottato tutte le misure necessarie per evitare che si verifichi dell’evento, dall’altro l’inevitabile indagine discrezionale dell’Organo Giudicante sull’atteggiamento, sul grado di buona fede, etc….. della parte debitrice;
c. iii) impossibilità, da intendersi come assoluta e, quindi, tale da non consentire l’esecuzione del contratto o di una obbligazione che ne costituisce un elemento fondamentale.
Alcune Legislazioni dispongono poi anche di una definizione codicistica esplicita di “forza maggiore”; in questo senso, ad esempio, il “Code des obligations et des contrats” marocchino definisce, all’articolo 269, la stessa come “tout fait que l'homme ne peut prévenir, tel que les phénomènes naturels (inondations, sécheresses, orages, incendies, sauterelles), l'invasion ennemie, le fait du prince, et qui rend impossible l'exécution de l’obligation”, ovvero “ forza maggiore è ogni accadimento che l’uomo non può prevenire, come i fenomeni naturali (inondazioni, siccità, alluvioni, incendi), l’invasione nemica, il fatto del principe, e ciò che rende possibile l’esecuzione dell’obbligazione”
Altre, invece, come quella egiziana (il cui modello è recepito da molti altri Paesi, quali, a mero titolo esemplificativo, il Qatar, l’Algeria, la Libia, lo Yemen,) non dispongono di una puntuale definizione codicistica civile, ma all’interno dei rispettivi codici (codice civile, codice di commercio, etc....) presentano disposizioni che rimandano alla causa di esonero della responsabilità della forza maggiore, normando quindi l’istituto in maniera indiretta. Ad esempio, l’articolo 218 del Codice Civile Libico sancisce che il debitore è obbligato al risarcimento del danno in caso di mancato esatto adempimento della specifica obbligazione, a meno che egli non riesca a provare che l’obbligazione è divenuta impossibile e che tale impossibilità è dovuta a causa a lui non imputabile.Le differenti previsioni codicistiche, così come le differenti normative nazionali, non appaiono tuttavia sufficienti ad arginare il problema rappresentato dalla difficoltà di individuare una nozione univoca di “forza maggiore” nel diritto musulmano e dei Paesi Islamici che, nonostante il processo di “acculturazione giuridica” continua ad apparire estremamente dipendente dal caso concreto e mutevole.
Occorre tuttavia rilevare che, di norma, nei Paesi di Diritto Islamico l’esonero della responsabilità del debitore al verificarsi di un caso di forza maggiore non costituisce un principio di ordine pubblico e, pertanto, può essere liberamente disciplinato e derogato dalle parti, le quali possono pattiziamente definirne limiti e funzionamento. In questo senso, in un rapporto contrattuale, potrà certamente non avere quale legge applicabile quella del Paese Islamico interessato.
II
Da quanto sino ad ora rilevato, il quadro legislativo internazionale risulta disomogeneo inducendo, gli operatori a definire direttamente e specificatamente, auspicabilmente per iscritto, i casi di forza maggiore e stabilire espressamente le conseguenze collegate alla loro insorgenza.
A livello internazionale solo il principio generale espresso nell'articolo 7.1.7 dei Principi UNIDROIT permette, astrattamente, un allineamento delle diverse discipline, attraverso la statuizione per la quale la parte inadempiente è esonerata da responsabilità se l'inadempimento è dovuto ad un impedimento derivante da circostanze estranee alla sua sfera di controllo, e che la parte stessa non era ragionevolmente tenuta a prevedere al momento della conclusione del contratto o ad evitare o a superarne le conseguenze. Analogo principio è contenuto nella Convenzione di Vienna del 1980 (all’art. 79) sulla vendita internazionale di merci.
Altro aspetto da tenere in considerazione nell’ambito dei contratti internazionali, è la differenza sussistente tra la clausola di forza maggiore e l’hardship clause.
Nel 2003 la Camera di Commercio Internazionale (ICC) nell’intento di fornire una utile guida agli operatori commerciali internazionali, predispose i testi standard, rispettivamente, delle clausole disciplinanti i casi di forza maggiore e di hardship.
La clausola di forza maggiore, c.d. Force Majeure Clause, prevede che la parte che si trovi a non poter eseguire il contratto per il verificarsi di una causa maggiore, non è ritenuta responsabile.
Diversamente la hardship clause disciplina le ipotesi di eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione. La sua finalità è quella di consentire alle parti di rinegoziare i termini degli accordi per permetterne l’adeguamento al nuovo stato di fatto. Qualora non venisse raggiunto un accordo, e solo in tale evenienza, sarà possibile richiedere la risoluzione del contratto.
Occorre ulteriormente rilevare che, mentre nell’ipotesi della forza maggiore, il testo suggerito dalla ICC disciplina le conseguenze di un evento imprevisto ed imprevedibile che rende una delle prestazioni impossibile da eseguirsi, la circostanza contemplata dalla clausola hardship non impedisce alla parte che la subisce di dare esecuzione al contratto, semplicemente rende la sua prestazione eccessivamente onerosa rispetto alla controprestazione.
In caso di verificazione dell’evento, tra contraenti che abbiano previsto all’interno del rapporto negoziale, la suddetta clausola, la parte che la invochi deve notificare alla controparte l’esistenza dell’evento allegando la prova che l’evento verificatosi corrisponda a quanto previsto dal contratto. In conseguenza di tale comunicazione, si procede alla sospensione della prestazione per permettere l’eventuale risoluzione dell’evento verificatosi. Qualora, la condizione impeditiva, dovesse permanere, trascorso un ragionevole termine, il contratto ben potrà essere risolto.
III
In conclusione, alla luce delle riflessioni effettuate, affrontando a grandi linee il tema della forza maggiore legata al Coronovirus, si rileva che si rende necessario operare una distinzione tra i contratti internazionali di media- lunga durata e quelli di brevissima e breve durata, atteso che, mentre per i primi è legittimo e ragionevole che la parte divenuta impossibilitata ad adempiere chieda ed ottenga (eventualmente ricorrendo all’Autorità Giudiziaria) un periodo di sospensione del contratto - periodo che sarà ragionevolmente più o meno lungo, proporzionalmente alla durata residua del contratto sottostante - per i secondi sarà alquanto difficile ipotizzare una sospensione, dato il ristretto arco temporale entro il quale deve/doveva essere adempiuta l’obbligazione.
In questi ultimi casi, sempre che ciò non sia previsto dal documento contrattuale e/o che le parti del rapporto non trovino un accordo sul punto, diventa assai difficile pensare al rimedio della sospensione del contratto, rappresentando la risoluzione/scioglimento del contratto la soluzione tipica, fermo restando che la parte che è divenuta inadempiente potrà, invocando la forza maggiore od istituto analogo, essere esonerato da responsabilità e quindi di non essere tenuto a corrispondere un indennizzo od altra forma di risarcimento, anche per equivalente, al creditore.
Una ulteriore riflessione va compiuta su un tema che non pare essere sinora stato affrontato adeguatamente: trattando il tema della forza maggiore, bisogna distinguere infatti tra contratti stipulati prima della diffusione della notizia dell’esistenza del virus, ma le cui prestazioni dovevano/devono essere ancora adempiute, perlomeno parzialmente, ed i contratti stipulati dopo che, usando la ordinaria diligenza, comunemente intesa, le parti avrebbero dovuto essere a conoscenza della esistenza del virus e la sua rapida diffusione. Ancora: l’esistenza del virus nel Paese di una delle parti od in entrambe le parti, vale in sè e per sè ad invocare la forza maggiore od equivalenti, e quindi a sottrarsi all’obbligo dell’adempimento?
Per quanto concerne la prima questione, il caso di forza maggiore o di istituto similare può, in linea teorica, essere invocato dalla parte che ritiene di essere non più in grado di eseguire la propria prestazione. Ma nella ipotesi in cui sia stato concluso un contratto dopo la divulgazione a livello internazionale dell’informazione che l’epidemia di Coronavirus si stava diffondendo al di fuori dalla Repubblica Popolare Cinese, con grande rapidità, certamente, ad avviso di chi scrive, nessuna delle parti potrà invocare la forza maggiore od istituti affini, in quanto l’evento era già conosciuto o avrebbe dovuto essere conosciuto usando l’ordinaria diligenza, con la conseguenza che, non riuscendo poi ad adempiere, dovrà essere ritenuto responsabile e pagare i danni.
E’ interessante la ulteriore e seguente problematica: potrebbe succedere, come in effetti sta materialmente accadendo, che una parte contrattuale < ubicata in un Paese in cui il Coronavirus non si sia ancora manifestato > debba eseguire delle prestazioni contrattuali ad una controparte a sua volta ubicata in un Paese non afflitto dalla epidemia, ma che la prima parte non riesca ad adempiervi in quanto non è in grado di ricevere dei componenti o dei semicomponenti o dei servizi da parte di un fornitore e/o sub-fornitore e/o da soggetti, necessari per il completamento del prodotto o del servizio ordinato, in quanto costoro trovasi in territori afflitti dalla epidemia, e quindi non in grado di evadere la commessa/ordine.
Vediamo di trarre delle conclusioni che possano valere nella maggior parte degli ordinamenti a livello mondiale:
- in linea di principio, un contratto può essere modificato solo con il consenso delle Parti o per cause previste dalla legge regolatrice del rapporto, e quindi i Giudici, siano essi “togati” o siano degli Arbitri, non hanno molto spazio per intervenire in modifica al contratto stesso, o per dispensare la parte inadempiente dalle obbligazioni assunte;
- l’accadimento dell’evento che ha reso impossibile la esecuzione della prestazione, deve essere imprevisto, imprevedibile, irresistibile e non provocato dalla Parte che doveva eseguire la prestazione;
- l’equilibrio economico delle Parti del contratto deve essere intaccato in misura rilevante;
- affinché l’evento irresistibile (nel nostro caso, la diffusione del Coronavirus) conduca alla sospensione del contratto (se prevista contrattualmente o se accordata tra le Parti) od al suo scioglimento, non può essere possibile nel caso concreto procedere alla revisione del contratto stesso, sempre che la circostanza sopravvenuta non alteri sostanzialmente l’originale equilibrio delle obbligazioni contrattuali. In altre e più precise parole, per invocare la forza maggiore od istituti equivalenti, la gravità dell’evento deve essere tale da rendere impossibile l’esecuzione delle obbligazioni contrattuali. Da qui lo scioglimento del rapporto o la sospensione del contratto.
- nel caso invece in cui l’evento irresistibile influisca sì in un contesto socio-economico ampio, ma non in una misura tale da rendere impossibile la prestazione, si dovrebbe ragionare, quanto meno nei Paesi in cui è prevista la hardship, in termini di apportare delle modifiche alle vicendevoli prestazioni o sinanco arrivare alla rinegoziazione del contratto stesso.
Da un punto di vista prettamente operativo, si raccomanda quanto segue in linea generale:
(i) in caso di avvio di nuove trattative o di stipulazione di nuovi contratti od anche in caso di consegne ripartite e multiple, predisporre un testo contrattuale che disciplini – fra le altre cose – compiutamente i casi di forza maggiore e le conseguenti soluzioni ed auspicabilmente cercare di farle sottoscrivere; in mancanza, avere cura di trasmetterle all’altra parte in modo che, da un lato vi sia prova della avvenuta trasmissione, dall’altro lato sia presente una specificazione relativa al fatto che, l’inizio dell’esecuzione del contratto, equivale a tacita accettazione del documento contrattuale;
(ii) vista la estrema delicatezza dellla materia, evitare di usare clausole standard ma avere cura di disciplinare compiutamente i casi di forza maggiore, e le sue conseguenze (sospensione del contratto, per quanti mesi, come gestire la ripresa, i pagamenti, etc......), anche e soprattutto avendo bene a mente i Paesi nei quali poi dovrà essa essere invocata;
(iii) qualora non si sia ancora in una situazione di emergenza e quindi si sia ancora teoricamente in grado di adempiere gli impegni presi, avvisare per evidente correttezza e nel rispetto del più volte richiamato principio di buona fede, la controparte di trovarsi in un Paese (l’Italia) afflitto dalla epidemia e che non si può escludere un rapido deterioramento della situazione o comunque il sopraggiungere di una situazione che renda impossibile il corretto e/o puntuale adempimento (e.g. i corrieri che non ritirano o non consegnano, il blocco dei trasporti, etc....);
(iv) raccogliere e conservare quanta più documentazione possibile sullo stato dell’epidemia, gli effetti, etc..... (articoli, servizi, rapporti, e così via), a futura memoria;
(v) nel caso invece in cui si tema che il cliente non accetti la prestazione perché tema il pericolo del contagio (si pensi alle dicerie diffuse, magari ad arte, sul rischio che i prodotti agroalimentari siano mezzi di contagio del virus), acquisire documenti ed evidenze, anche pubbliche, che attestino che la produzione è regolare, che la merce è rigorosamente sottoposta a controlli, tests, etc...... in modo da essere in grado di diffidare efficacemente l’altra parte ad accettare la prestazione oggetto del contratto;
(vi) nell’ ipotesi in cui che un’impresa straniera, debitrice di una prestazione, abbia invocato l’applicazione della forza maggiore, per ottenere l’esonero da responsabilità, ed abbia addotto come elemento di prova un certificato rilasciato da una Camera di Commercio, non limitarsi ad accettare detto documento in sé e per sé, ma approfondire se effettivamente l’epidemia abbia influito in maniera rilevante sull’azienda straniera. Più esattamente, in sè e per sè i certificati non implicano automaticamente l’applicazione della forza maggiore e/o l’esonero dalla responsabilità;
(vi) ove una impresa continui ad inviare o mantenga dei propri dipendenti e/o collaboratori e/o ausiliari all’estero, adottare immediatamente un protocollo accurato e dettagliato in materia di Travel Security;
(vii) le imprese devono aggiornare il Duvri, che è il documento di valutazione dei rischi.
Entrando poi più nello specifico, trattando il contratto di franchising internazionale, si suggerisce di procedere come segue, distinguendo il caso in cui la Società italiana sia il Franchisor (I° caso) o sia il Master Franchisee o, più semplicemente un Franchisee (II° caso), fermo restando che quanto si va ad esporre
è valevole anche per figure giuridiche affini, quali, ad esempio, il contratto di Area Supervisor, il contratto di Partenariato, contratto di rete, etc.......). A seconda se si rientra nel primo o nel secondo caso, bisogna poi procedere ad altre suddivisioni.
I° caso
* prima ipotesi
La Casa Madre rischia di divenire inadempiente, non riuscendo più ad evadere gli ordini o ad eseguire le proprie prestazioni. Il consiglio è quello di avvisare e, se possibile, preavvisare con adeguato anticipo, che potrebbe verificarsi la possibilità di un blocco della attività. Questo per doveroso rispetto del principio della buona fede. Con la comunicazione di alert, converrà specificare bene le ragioni per le quali è sopraggiunta o sta sopraggiungendo la forza maggiore (i.e. blocco dei trasporti, blocco dei valichi di frontiera, blocco della produzione, i sub-fornitori che non forniscono, carenza delle materie, etc.......), in modo che venga esclusa qualsiasi negligenza. Conviene raccogliere poi i documenti a sostegno di quanto affermato (e.g. articoli di giornali, provvedimenti governativi o locali, corrispondenza con i sub-fornitori o con i trasportatori, etc........). Sarà altresì opportuno cercare di concordare con i partners commerciali soluzioni condivise, che siano eque e ragionevoli.
* seconda ipotesi
La Casa Madre riceve dai propri Master Franchisees le comunicazioni in cui, invocando la forza maggiore, essi dichiarano di non essere più in grado di adempiere ai propri obblighi contrattuali. Converrà richiedere loro la documentazione di supporto, e che effettivamente le difficoltà rappresentate incidano direttamente sulle prestazioni. Più precisamente, non è sufficiente che i partners invochino una generale situazione di difficoltà per via della diffusione del virus, ma devono fornire precise ed accurate evidenze documentali. I certificati emessi dalle Camere di Commercio di alcuni Paesi in linea generale non rivestono un carattere decisorio e definitivo, e “vanno presi con le dovute riserve”, valendo tuttalpiù come indizi ma non come una prova piena dal punto di vista giuridico.
II° caso
* prima ipotesi
La Azienda italiana è un franchisee o un Master franchisee di una impresa straniera e, per via della situazione emergenziale italiana, essa rischia di non essere in grado nell’immediato di onorare i propri impegni verso la azienda straniera. Valgono le stesse raccomandazioni riportate nel caso I°, alla prima ipotesi.
* seconda ipotesi
La situazione è invertita, nel senso che, al di là della situazione emergenziale, la Azienda italiana è in grado o lo sarebbe, di adempiere perfettamente le proprie obbligazioni, ma è la Casa Madre straniera a comunicare di non essere in grado di adempiere gli impegni contrattuali. In questo caso, bisognerà che la Azienda italiana verifichi con grande accuratezza la bontà e la veridicità delle affermazioni della Casa Madre straniera, e si accerti che non vi sia stata una negligenza di fondo (e.g. insufficienza delle scorte, errori di valutazione della gravità del contagio, etc......) che escluderebbe la forza maggiore, divenendo quindi quest’ultima responsabile di inadempimento e quindi tenuta a risarcire i danni subiti dalla Impresa italiana.