Articolo dell'Avv. Valerio Pandolfini
Come per ogni altra attività d’impresa, la pubblicità – effettuata secondo modalità tradizionali (off line) o tramite internet (on line) - riveste molta importanza anche nel franchising.
In generale, la promozione pubblicitaria nel campo del franchising può avere due diversi destinatari:
- i potenziali affiliati, che vengono attratti dal franchisor ad aderire alla propria rete in franchising;
- i clienti finali (per lo più consumatori), destinatari dell’attività svolta dagli affiliati nell’ambito della rete in franchising.
Gli operatori pubblicitari, cioè i committenti del messaggio pubblicitario, possono quindi essere, a seconda dei casi, franchisors o franchisee. Mentre la prima tipologia di pubblicità è naturalmente svolta solo dal franchisor, la seconda può essere effettuata sia dal franchisor che dai singoli franchisee, in base a quanto previsto nel contratto di franchising.
A tal proposito, generalmente il franchisor si riserva di provvedere alla pubblicità istituzionale della rete a livello nazionale, mentre ai singoli affiliati spetta la pubblicità su base locale, ma possono esservi diversi accordi. In ogni caso, per esigenze di salvaguardia e di uniformità d’immagine della rete, i franchisee di solito non possono operare in piena autonomia dai franchisee bensì dietro coordinamento e direzione del franchisor.
Come qualunque attività pubblicitaria, anche quella svolta nell’ambito del franchising è soggetta ad una complessa e variegata normativa, in gran parte di origine comunitaria, finalizzata ad assicurare il buon funzionamento del mercato e della concorrenza.
Le norme applicabili sono diverse a seconda che la pubblicità sia diretta ai potenziali affiliati o ai clienti finali.
Nel primo caso, poiché i (potenziali) franchisee sono considerati dal punto di vista giuridico come imprenditori (e non consumatori), trova applicazione il D.lgs. n. 145/2007, che disciplina la pubblicità ingannevole e comparativa illecita nei rapporti tra imprese (B2B).
Qualora invece la pubblicità sia rivolta ai clienti finali, si applica il D.lgs. n. 206/2005 (Codice del Consumo), che disciplina le pratiche commerciali scorrette nei rapporti tra imprese e consumatori (B2C).
Accanto a tali discipline può inoltre trovare applicazione:
- la disciplina del Codice civile sulla responsabilità contrattuale e sulla concorrenza sleale, prevista agli artt. 2598 e ss. c.c.;
- il Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, che stabilisce le regole sulla pubblicità che devono essere rispettate dalle imprese.
Ma cosa costituisce “pubblicità” nel franchising dal punto di vista giuridico?
Secondo l’art. 2, comma 1 D.lgs. n. 145/2007, costituisce “pubblicità” “qualsiasi forma di messaggio che è diffuso, in qualsiasi modo, nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale allo scopo di promuovere il trasferimento di beni mobili o immobili, la prestazione di opere o di servizi oppure la costituzione o il trasferimento di diritti ed obblighi su di essi”.
Si tratta quindi di una nozione molto ampia di pubblicità, che prescinde dal mezzo attraverso il quale il messaggio pubblicitario venga diffuso, purché lo stesso sia finalizzato a promuovere una determinata attività imprenditoriale.
Possiamo dunque dire che nel franchising costituiscono pubblicità non soltanto i messaggi pubblicitari in senso stretto, diffusi attraverso qualsiasi mezzo di comunicazione (slogans, volantini, brochure, banners etc.), ma anche business plans, previsioni di redditività, prospetti informativi forniti ad affiliati ed aspiranti affiliati anche ai sensi della L. 129/2004.
Sono inoltre considerati messaggi pubblicitari anche gli articoli giornalistici, su qualsiasi mezzo di comunicazione, qualora sia prevalente l’aspetto pubblicitario su quello informativo, sotto il profilo dell’impatto comunicativo per il destinatario.
Occorre quindi tenere presente che molti messaggi o informazioni diffusi dalle reti in franchising, anche se non pubblicitari in senso stretto, sono soggetti alla normativa sulla pubblicità e quindi possono costituire fonte di rilevanti responsabilità e rischi legali in capo al franchisor.
In particolare, tali messaggi sono soggetti al controllo dell’AGCM (Autorità Garante della concorrenza e del Mercato). L’AGCM è un autorità amministrativa (non giurisdizionale) ed ha poteri investigativi molto penetranti, che comprendono la possibilità di:
- accedere a qualsiasi documento pertinente
- richiedere informazioni e documenti, con la facoltà di sanzionare l’eventuale rifiuto o la trasmissione di informazioni e documenti non veritieri
- effettuare ispezioni
- avvalersi della Guardia di Finanza
- disporre perizie consultare esperti.
L’AGCM è generalmente molto rapida nei propri procedimenti, che di solito terminano nel giro di sei mesi dall’inizio dell’istruttoria (contrariamente a quanto accade nei giudizi davanti all’Autorità giudiziaria ordinaria, che come è noto durano purtroppo vari anni).
Se l’AGCM accerta l’ingannevolezza del messaggio pubblicitario, può condannare l’operatore a una sanzione amministrativa pecuniaria, che, tenuto conto della gravità e della durata della violazione, può arrivare fino a 500.000,00 Euro.
Inoltre, l’AGCM può obbligare l’operatore a rendere pubblica la decisione a sue spese a mezzo stampa, oppure attraverso la radio o la televisione, o eventualmente attraverso la diffusione di un’apposita dichiarazione di rettifica; le imprese franchisor possono andare dunque incontro a gravi danni di immagine, per effetto della pubblicità che viene data ai provvedimenti dell’AGCM.
Contro la decisione dell’AGCM si può ricorrere al Giudice amministrativo (TAR – Consiglio di Stato). Il TAR (e il CdS) si limita tuttavia ad un controllo di mera legittimità (violazione di legge – eccesso di potere), ovvero della non manifesta infondatezza della decisione dell’AGCM sotto il profilo della logicità, coerenza e completezza della motivazione con cui è stata ritenuta l’ingannevolezza del messaggio. Non viene invece valutato il merito, cioè l'ingannevolezza del messaggio.